Martignano
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In questa pagina puoi trovare informazioni storiche e attuali su Martignano.
Perchè parliamo di Martignano
semplicemente perchè qui ci abito pressochè da quando sono nato
In questa sezione : dettagli e accenni storici
Topograficamente la regione appare un saliente montano a semitronco di cono articolato su successivi terrazzi morenici che conformano un piano inclinato a terrazzamenti, fitti nella parte alta e bassa, più distesi e aperti nella mediana. A monte, i dirupi strapiombanti del M.Calisio con lembi di frana da crollo, proteggono la zona dai venti da nord. Rocciosi, poveri d'acqua, di composizione geologica sedimentaria con affioramenti di marne e di tufi vulcanici, larghi sedimenti morenici, i luoghi presentano una interessante compattezza ambientale. Osservando una carta geologica si possono meglio individuare le formazioni rocciose. Il largo altipiano che separa Martignano da Cognola presenta uno strato morenico e di coltri eluviali. In esso emergono strati di scaglia rosssa e vulcaniti terziarie come basalti, brecce basaltiche e ialoclastiti. La scaglia rossa emerge massiccia, pulita dalla coltre sedimentaria, a valle di Martignano, verso Muralta e Pietrastretta. La scaglia rossa è un caclare marnoso, sossastro, facilemte sfaldabile in sottili scglie. E' originata dai grandi sedimenti formatisi circa 65 MA. Nella zona delle Coste, già rinomata area di cave di pietra, come l'intera area a ridosso del Borgo di S.Martino, a Trento, della Cervara, di Muralta , a diretto contatto con la scaglia rossa si estendono le formazionii di rosso ammonitico e del biancone, rocce sedimentarie formatisi nella lenta sedimentazione del Cretaceo (135 MA). In quell' epoca geologica si formò così quella pietra calcarea sfrutata intensamente per la costruzione della città. Questo settore collinare è interessato da un modesto sistema idrografico rappresentato prevalentemente dal Rio Saluga, responsabile del conoide dove sorge il nucleo storico di Trento. Questo piccolo rio, dall' apparenza innocua, è stato incanalato in più punti in condotte sotterranee ed in cunettoni che ne hanno velocizzato lo scorrere. In periodi di pioggia insistente, si gonfia pericolosamente rendendolo responsabile degli allagamenti della sede stradale a Port'Aquila. Si rimpiangono allora le cosidette casse di espansione presenti nelle vallette lungo il suo percorso, come quella presso le Coste, occupate ed invase dagli insediamenti residenziali.
Su un ampio terrazzo in posizione panoramica sopra la conca di Trento, alle falde del Monte Calisio, a qualche chilometro dalla città e a circa 370 metri di altitudine vive il sobborgo di Martignano. Posto lungo la via imperiale Claudia Augusta Altinate che, su un antichissimo itinerario protostorico, sul declivo del Calisio arrivava dalla Valsugana attraverso Civezzano e Cognola, per il Maso Bolleri e Maso Specchio abbassandosi a Meano e proseguendo a nord lungo la valle dell'Adige per raggiungere le frontiere alpine, Martignano è stato per secoli un piccolo villaggio di masi sparsi e di qualche residenza estiva.
Il Mariani, nel Seicento lo definiva «villaggio picciolo ma fertile di vini, amabili e prestanti, con aria favorita di sole e in un di fresco ... ». E aggiungeva: «Sopra Martignano nel monte detto Calisperg sta la Caccia de' Cotorni, ch'è singolare».
Quanto alle località di Piazzina e Muralta, che hanno sempre fatto parte del territorio di Martignano, scriveva che «sono Costiere piantate deliciosamente di Vignali e Frutti. Le Vigne danno Vini grandi eccellenti: li neri però più che i bianchi, quali con l'amabile hanno del fumo. Notansi in questi siti frequenti Masi posti in eminenza contraria, che godono la più gentile: ma Muralta con esser di primo aspetto, troppo è predominata da siccità, quando non sudino le Selci, che fan di fondo: sì come Piazina l'ha di Creta la sua parte».
Il villaggio di Martignano (m 390) è composto da due nuclei storici sovrapposti. La sua figura segue la scala dei ripiani poggiati al Calisio ed è adeguata all'originario sistema stradale. E' terra di roccie, di morene, di viti, di querce, al cospetto dello spettacolo del monte Bondone e del Gaza-Paganella divisi dalla Bocca di Terlago. Le case contadine, a nuclei compatti, movimentate dall'apparato dei ballatoi, si avvicendano alle residenze nobiliari del passato e alle nuove costruzioni dei quartieri residenziali. Martignano ha due chiese. L'una, quella vecchia, dissacrata, dedicata a S.Isidoro. L'altra, quella nuova, dedicata a Maria Ausiliatrice. Entrambe, seppure con diverse modalità, sono indicative della storia di Martignano perchè contengono il senso della proprietà terriera privata di matrice urbana e l'impulso comunitario locale.
Nel dopoguerra l’economia rurale locale risentiva ancora di una profonda crisi. Martignano era un paese di meno di 500 abitanti compresi gli ancora numerosimasi sparsi sulla collina Est di Trento) la cui economia si fondava sulla campagna. I contadini dovevano spesso “arrotondare” con altri lavori, per lo più trovati in città. I pochissimi che si improvvisavano artigiani e operai scendevano quotidianamente in città a piedi o in bicicletta.
La strada di accesso principale al paese era tutt’altra cosa rispetto all’attuale via Bellavista e, per la gran parte, risultava l’attuale via dei Castori con inserimento sulla salita di via Sabbionare per lo sbocco nelle vicinanze della Chiesa parrocchiale costruita nel 1950. Martignano era veramente paese con sua identità staccata dalla città anche se vista poco distante. Anche Don Leone Serafini, parroco di Martignano dal 1937 al 1955 e promotore delle prime opere ed attività sociali, scendeva a Trento in bicicletta per andare ad insegnare (era dottore in Giurisprudenza) in Seminario: al rientro il curato doveva necessariamente spingere la bicicletta fino a che non incontrava qualche ragazzo, orgoglioso di entrare in paese spingendo la bici del parroco! In quegli anni c’era un forte sentimento di ricostruzione, un itrovato gusto del sociale e in genere del “nuovo” e della politica come promotrice dello sviluppo. Proprio per queste spinte ideologiche sentite dalla comunità verso una ritrovata identità sociale, una fierezza di appartenere” al territorio, accompagnata alla lungimiranza e, per alcuni versi anche scaltrezza, di Don Leone Serafini, furono gettate le basi, ... o meglio, direttamente le fondamenta, della nuova Chiesa parrocchiale (prima il servizio liturgico veniva offerto presso la Chiesetta di S. Isidoro) e della “Casa del bambino”, successivamente rinominata “Scuola Materna Don Leone Serafini”.
Poco tempo dopo, già negli anni ’60 Martignano cominciava a crescere a vista d’occhio, aumentavano il numero di abitazioni nei terreni allora facilmente sottratti alle campagne. I servizi però non crescevano parallelamente. Qualche latitanza dell’Amministrazione comunale ha consentito indirettamente uno sviluppo urbanistico disordinato di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.
Allora peraltro le strade erano veramente strette, mancava l’illuminazione pubblica un po’ dovunque in paese. Si legge che anche le scuole elementari (fondate nel 1926) già nel 1960 erano strette! (principio di circolarità ricorsiva?) e si optò evidentemente e semplicemente per le due classi nelle “baracche” posizionate nel piazzale fino alla ristrutturazione sostanziale in tempi relativamente recenti.
Gli unici negozi erano la “botega” di alimentari e bazar Facchinelli (allora in piazza Menghin nell’attuale Centro Sociale spazi degli ambulatori-, con annessa una piccola osteria, successivamente spostati al posto dell’attuale negozio di vestiario e del bar di oggi). Di particolare importanza storica la Famiglia Cooperativa di Martignano, presente fin dal 1926; inizialmente nell’edificio dove risiede attualmente la famiglia Cittadini, in via D.L. Serafini, poi trasferita negli anni ’60 nell’attuale negozio di idraulica Leveghi. Negli anni ’80 la “Cooperativa” si trasferì nuovamente nell’edificio posto in prossimità del l’incrocio di via Formigheta e la Strada del Vino (casa bianca e rossa) a fianco della Cassa Rurale. L’attività fu poi ceduta ai Supermercati Poli.
Sempre in “casa Cittadini” fino agli anni settanta era presente il Bar dopolavoro Enal (Ente Nazionale Assistenza Lavoratori presente dal 1945 in sostituzione della fascista OND, Opera Nazionale Dopolavoro), gestito dal martignano Gardumi Alberto (presidente); in precedenza (ma la data non è stata accertata) era situato in Piazza Menghin Palazzo Sardagna. Il bardopolavoro Enal fu chiuso definitivamente in seguito alla sopressione dell’Enal da parte del Governo (anni ’70).
La prima macelleria di Martignano era la Florio Decarli (di Cognola) poi trasferita fuori paese. La macelleria Floriani Giuseppe e Saverio, presente dal 1953, era inizialmente ubicata dove ora c’è il negozio di calzature in centro al paese, si spostò poi sull’incrocio con via Sabbionare. Fra gli artigiani “storici” si possono ricordare i calzolai Anselmo Moresco (anche sacrestano della chiesa, che abbandonò poi l’attività) e i Fronza che iniziarono con Vittorio (classe 1883). La “botega del Caliar” era situata dove ora c’è la sala riunioni circoscrizionale, nel centro Sociale, con accesso dalla scaletta allora costruita in senso contrario all’attuale. Il panificio Mosna Aldo iniziò l’attività in Piazza Menghin nel 1951, trasferitosi nel 1962 in via Don Leone Serafini, fino al 1978 quando cessò l’attività. Fra gli altri artigiani i muratori Leveghi Giovanni e successivamente negli anni ’60 i fratelli Piffer e gli idraulici Leveghi. Tutti hanno mantenuto e sviluppato notevolmente la propria attività. Fondamentalmente il paese era tutto lì.
Fra le curiosità storiche si apprende che dal 1942 i primi tulipani del Trentino venivano coltivati a Martignano (gli ampi terrazzamenti godevano di un’esposizione ottimale e la vicinanza alla città facilitava tale commercio) e messi in vendita ai mercati di Trento.
Fra le date storiche va ricordato:
• 1938 fondazione della Parrocchia di Martignano (dagli annali della parrocchia si rilevano 756 abitanti)
• 1943 costituzione della Filodrammatica La Baraca (Valdagni Franco - Scoz Valentino - Scarpari Pierino Moresco Luigi) la cui attività fu sospesa durante la 2° guerra mondiale
• 1953 costruzione della “Casa del Bambino”, ora Scuola Materna Don Leone Serafini
• 1954 costituzione dell’A.N.A. Gruppo di Martignano (Mazzalai Remo-Salizzoni Gino)
• 1968 fondazione del Coro Monte Calisio (a seguito della “messa al bando” dei cori parrocchiali).
Le notizie anzi riportate in sintesie forse frettolosamente non sono probabilmente complete ed esaustive, ma sicuramente contribuiscono a dare significato e volto alla storia “recente” del sobborgo.
a cura di Flavio Ferrari
Nel dopoguerra l’economia rurale locale risentiva ancora di una profonda crisi. Martignano era un paese di meno di 500 abitanti (compresi gli ancora numerosi masi sparsi sulla collina Est di Trento) la cui economia si fondava sulla campagna. I contadini dovevano spesso “arrotondare” con altri lavori, per lo più trovati in città. I pochissimi che si improvvisavano artigiani e operai scendevano quotidianamente in città a piedi o in bicicletta. La strada di accesso principale al paese era tutt’altra cosa rispetto all’attuale via Bellavista e, per la gran parte, risul-tava l’attuale via dei Castori con inserimento sulla salita di via Sabbionare per lo sbocco nelle vicinanze della Chiesa parrocchiale costruita nel 1950. Martignano era veramente paese con sua identità staccata dalla città anche se vista poco distante. Anche Don Leone Serafini, parroco di Martignano dal 1937 al 1955 e promotore delle prime opere ed attività sociali, scendeva a Trento in bicicletta per andare ad insegnare (era dottore in Giurisprudenza) in Seminario: al rientro il curato doveva necessariamente spingere la bicicletta fino a che non incontrava qualche ragazzo, orgoglioso di entrare in paese spingendo la bici del parroco! In quegli anni c’era un forte sentimento di ricostruzione, un ritrovato gusto del sociale e in genere del “nuovo” e della po litica come promotrice dello sviluppo. Proprio per queste spinte ideologiche sentite dalla comunità verso una ritrovata identità sociale, una fierezza di “appartenere” al territorio, accompagnata alla lungimiranza e, per alcuni versi anche scaltrezza, di Don Leone Serafini, furono gettate le basi, ... o meglio, direttamente le fondamenta, della nuova Chiesa parrocchiale (prima il servizio liturgico veniva offerto presso la Chiesetta di S. Isidoro) e della “Casa del bambino”, successivamente rinominata “Scuola Materna Don Leone Serafini”. Poco tempo dopo, già negli anni ’60 Martignano cominciava a crescere a vista d’occhio, aumentavano il numero di abitazioni nei terreni allora facilmente sottratti alle campagne. I servizi però non crescevano parallelamente. Qualche latitanza dell’Amministrazione comunale ha consentito indirettamente uno sviluppo urbanistico disordinato di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. Allora peraltro le strade erano veramente strette, mancava l’illuminazione pubblica un po’ dovunque in pae-se. Si legge che anche le scuole elementari (fondate nel 1926) già nel 1960 erano strette! (principio di circolarità ricorsiva?) e si optò evidentemente e semplicemente per le due classi nelle “baracche” posizionate nel piazzale fino alla ristrutturazione sostanziale in tempi relativamente recenti. Gli unici negozi erano la “botega” di alimentari e bazar Facchinelli (allora in piazza Menghin nell’attuale Centro Sociale - spazi degli ambulatori -, con annessa una piccola osteria, successivamente spostati al posto dell’attuale negozio di vestiario e del bar di oggi). Di particolare importanza storica la Famiglia Cooperativa di Martignano, presente fin dal 1926; inizialmente nell’edificio ove risiede attualmente la famiglia Cittadini, in via D.L. Serafini, poi trasferita negli anni ’60 nell’attuale negozio di idraulica Leveghi. Negli anni ’80 la “Cooperativa” si trasferì nuovamente nell’edificio posto in prossimità del l’incrocio di via Formigheta e la Strada del Vino (casa bianca e rossa) a fianco della Cassa Rurale. L’attività fu poi ceduta ai Supermercati Poli. Sempre in “casa Cittadini” fino agli anni settanta era presente il Bar-dopolavoro Enal (Ente Nazionale Assistenza Lavoratori - presente dal 1945 in sostituzione della fascista OND, Opera Nazionale Dopolavoro), gestito dal martignano Gardumi Al-berto (presidente); in precedenza (ma la data non è stata accertata) era situato in Piazza Menghin - Palazzo Sardagna. Il bar dopolavoro Enal fu chiuso definitivamente in seguito alla sopressione dell’Enal da parte del Governo (anni ’70). La prima macelleria di Martignano era la Florio Decarli (di Cognola) poi trasferita fuori paese. La macelleria Floriani Giuseppe e Saverio, presente dal 1953, era inizialmente ubicata dove ora c’è il negozio di calzature in centro al paese, si spostò poi sull’incrocio con via Sabbionare. Fra gli artigiani “storici” si possono ricordare i calzolai Anselmo Moresco (anche sacrestano della chiesa, che abbandonò poi l’attività) e i Fronza che iniziarono con Vittorio (classe 1883). La “botega del Caliar” era situata dove ora c’è la sala riunioni circoscrizionale, nel centro Sociale, con accesso dalla scaletta allora costruita in senso contrario all’attuale. Il panificio Mosna Aldo iniziò l’attività in Piazza Menghin nel 1951, trasferitosi nel 1962 in via Don Leone Serafini, fino al 1978 quando cessò l’attività. Fra gli altri artigiani i muratori Leveghi Giovanni e successivamente negli anni ’60 i fratelli Piffer e gli idraulici Leveghi. Tutti hanno mantenuto e sviluppato notevolmente la propria attività. Fondamentalmente il paese era tutto lì. Fra le curiosità storiche si apprende che dal 1942 i primi tulipani del Trentino venivano coltivati a Martignano (gli ampi terrazzamenti godevano di un’esposizione ottimale e la vicinanza alla città facilitava tale commercio) e messi in vendita ai mercati di Trento. Fra le date storiche va ricordato: 1938 fondazione della Parrocchia di Martignano (dagli annali della parrocchia si rilevano 756 abitanti) • 1943 costituzione della Filodrammatica La Baraca (Valdagni Franco - Scoz Valentino - Scarpari Pierino Moresco Luigi) la cui attività fu sospesa durante la 2° guerra mondiale • 1953 costruzione della “Casa del Bambino”, ora Scuola Materna Don Leone Serafini • 1954 costituzione del-l’A. N.A. Gruppo di Martignano (Mazzalai Remo-Salizzoni Gino) • 1968 fondazione del Coro Monte Calisio (a seguito della “messa al bando” dei cori parrocchiali).
Le notizie anzi riportate in sintesi e forse frettolosamente non sono probabilmente complete ed esaustive, ma sicuramente contribuiscono a dare significato e volto alla storia “recente” del sobborgo.
La popolazione di Martignano 1951-2002
a cura di Flavio Ferrari
anno 1951 abitanti 380 Martignano (solo paese) Località minori rilevate da Cognola
anno 1961 abitanti 414 Martignano (solo pese) Località minori rilevate da Cognola
anno 1971 abitanti 660 Martignano (e loc. minori) Dati censimento Popolazione - ufficiali
anno 1981 abitanti 2.995 Martignano (e loc. minori) Dati censimento Popolazione - ufficiali
anno 1991 abitanti 3.921 Martignano (e loc. minori) Dati censimento Popolazione - ufficiali
anno 2001 abitanti 4.371 Martignano (e loc. minori) Dati censimento Popolazione - non ufficiali
anno 2002 abitanti 4.750 Martignano (e loc. minori) Proiezione da dati Circoscrizione Argentario
Località minori = Maderno, Bergamini, Bolleri, altri insediamenti sparsi.
Toponomastica di Martignano nel 1973
a cura di Flavio Ferrari
1 Via Costiole 6 Via Bellavista 10 Via del Forte
2 Via del Biancospino 7 Via Cesarini 11 Via Don Leone Serafini
3 Via Castel dei Merli 8 Via dei Castori 12 Via Sabbionare
4 Via ai Bolleri 9 Via del Capitel 13 Piazza G. Menghin
5 Via alle Gemelle
Toponomastica di Martignano nel 2002
a cura di Flavio Ferrari
1 Bassano 8 Via alle Gemelle 15 Via del Dos
2 Via Camilastri 9 Via Bellavista 16 Via del Forte
3 Località Martignano 10 Via Castel dei Merli 17 Via dell’Albera
4 Piazza dei Canopi 11 Via Cesarini 18 Via Costiole
5 Piazza G. Menghin 12 Via dei Castori 19 Via Don Leone Serafini
6 Via ai Bolleri 13 Via del Biancospino 20 Via Missioni Africane
7 Via alla Formigheta 14 Via del Capitel 21 Via Sabbionare
I primi pilastri della nuova chiesa sorta sul terreno degli orti Pasquali-Leveghi-Bortolotti, accanto alla vecchia canonica che si affaccia sullo stradone all'inizio del paese, furono iniziati il 27 ottobre 1946, domenica di Cristo Re.
Nel 1947 fu costruita la sagrestia e tutta la randa del coro fino al campanile, dopo che - nel novembre dell'anno precedente - era stata benedetta la prima pietra da parte dell'arcivescovo Carlo De Ferrari. Nel marzo del 1948 si iniziò la costruzione del campanile e di tutto il corpo della chiesa. È del 28 di quel mese, domenica di Pasqua, un avviso parrocchiale che suona così: «Oggi ci sarà la benedizione delle case: dopo la Messa prima qui nella villa, stasera a Maderno. Domani si lavorerà a tagliare i pini dati dal Comune per la nuova Chiesa: i carrettieri sono pregati di venire con l'asse lunga al "Salt" per mezzogiorno, per poter fare due viaggi; i muratori resteranno qui a lavorare». Come era sempre avvenuto attraverso i secoli, la costruzione della nuova chiesa fu un fatto che investì la comunità sino alle sue radici: veniva raccolto denaro con ogni occasione; le donne confezionavano cose da rivendere per la chiesa; gli uomini lavoravano come taglialegna, carpentieri, manovali, muratori, carrettieri; il Comune metteva a disposizione il legname, la sabbia e le pietre. Tutto ovviamente in completa gratuità. È così che si sono costruiti edifici come le chiese e gli oratori, con grandi sacrifici di tutti, rafforzando allo stesso tempo i vincoli della comunità. Don Serafini era un parroco di molte risorse; recuperò le pietre che rivestono la chiesa dal vecchio Bazar Chesani distrutto dalle bombe; gli stipiti in pietra delle porte e le pietre delle acquasantiere le recuperò dal vecchio palazzo della Cassa di risparmio. La Via Crucis venne da Cloz, in val di Non. Dalla stessa valle, dal paese di San Zeno, arrivò l'altare. Don Leone organizzò una domenica una gita in quel paese su un camion scoperto: al ritorno caricarono tutte le pietre dell'altare per la nuova chiesa. Finalmente, il 25 marzo 1950, festa dell' Annunciazione, il vescovo ausiliare di Trento Oreste Rauzi consacrò il nuovo edificio sacro
S.Isidoro (m 373) era all' inizio cappella nobiliare. Già nel XVII secolo, e per consolidata tradizione, vi si celebrava la messa festiva. Si trovava "lungo la Ranza", confinava con "il Spiazzol", faceva parte del complesso fondiario residenziale che dalla Ranza andava al Forno. Tale complesso, nel 1688 fu venduto da Francesco Guidotino da Trento ai fratelli Giacomo e Giovanni Antonio de Roveti. Cappella e messa festiva ne seguirono le sorti. Altrettanto avvene allorchè i de Rovereti vendettero i luoghi agli Altenburger. Gli Altenburger ricostruirono in bello stile barocco la cappella. La dotarono di campana, di altare di marmi castionesi, della pala della Madonna con Bambino, S.Isidoro e angeli firmata ".. a Rosa" e datata 1768. La arrichirono di stucchi e di una sobria decorazione pittorica. Queste cose furono documentate nel 1837 dal barone Luigi Altenburger in occasione della vertenza insorta con il curato di Cognola e nella quale intervennero il Comune di Cognola, il Magistrato consolare di Trento e l'Ordinariato vescovile. La facciata della chiesa espone sopra il portale a lunetta con conchiglia lo stemma degli Altenburger. Il campanile è a vela ed è sormontato da cuspide a cipolla. In origine la chiesa era collegata alla casa nobile accanto. In seguito divenne chiesa curaziale. Fu abbandonata quando entrò in funzione la nuova parrochiale e fu annessa nel 1953 alla Scuola materna. Sulle antine dei due armadietti a muro della parte absidale, ignoto segnò con il lapis i nomi delle persone morte e taluni avvenimenti connessi alla chiesa. Ecco alcuni esempi: "ai 13 aprile 1884, comperato le corde" (della campana); "ai 27 marzo 1888 è morto Dott. Medico Bertamini";"li 2 genajo 1890 è morto Sign. Curato di Cognola"(Don giovanni Maistrelli da Tassullo);"il 15 aprile 1891 è morto Isidoro Leveghi";"li 26 giugno 1891 è morto Giuseppe Boler d'anni 82";"li 20 luglio 1892 è morto Angelo Mazzalai";" li 21 maggio 1896 morto Sign. Barone Menghin a Rovereto";"Furlani Emilio Pittore Povo". Fino al 1940 i funerali partivano da S.Isidoro diretti, con corte a piedi, al cimitero di Cognola. I morti venivano portati a spalla. Una delle campane di S.Vito sarebbe stata donata dalla comunità di Martignano per suonare l'"agonia". Così si racconta. Il palazzotto di fronte alla chiesa fu dei Guidotino, de Rovereti, degli Altenburger. L'allineamento delle case vicine ne ripete, sebbene con modestia, gli schemi cinquecenteschi. La piccola chiesetta è stata tratta dall'oblio grazie anche ad un libro dell'Architetto Antonelli Adamoli.
RESTAURO; Domenica 24 settembre 2000, la comunità di Martignano, è stata chiamata a vivere un momento di festa per l'inaugurazione della chiesetta, un doverose restauro dopo 50 anni di abbandono di quella che è stata la "chiesa madre" della comunità cristiana di Martignano, in tale occasione si segnalava come questa chiesetta sia stata ceduta alla comunità per 3.500 coronne, una cifra allora molto elevata per quella povera gente a cui stava a cuore avere un luogo per le loro celebrazioni e per la preghiera. I lavori di restauro sono durati più a lungo per alcuni interventi non previsti, dovuti allo stato di degrado in cui si trovava il piccolo edificio, particolarmente la struttura portante del tetto e il restauro degli intonaci interni, danneggiati da infiltrazioni d'acqua che in parte hanno rovinato anche gli stucchi. Notevole lavoro ha comportato il ripristino della cornice marmorea asportata 50 anni fa per abbellire la nicchia dell'abside della nuova chiesa, dove era stata collocata la statua dell'Ausiliatrice e la risistemazione nella sua posizione originale dove era stata ideata come cornice alla bella pala di S.Isidoro, unica opera, conosciuta in Regione, del valente artista veronese Saverio Dalla Rosa (1768). E' stata inoltre abbattuta la cantoria, struttura realizzata in questo secolo per ampliare gli spazi della chiesetta, ma che guastava la sobrietà e l'eleganza delle linee del piccolo spazio.
Accenni storici:
Sino al 1938, quando Martignano divenne parrocchia, la gente del villaggio dipendeva dalla pieve di Cognola. Ma già nel 1688 la comunità poteva disporre della cappella pubblica dedicata a S. Isidoro del maso Guidotino. Nella prima metà del Settecento a Piazzina, all'interno del maso dei conti Migazzi, venne eretta una cappella pubblica dedicata alla Vergine del Carmelo. Doveva servire la parte bassa di Martignano. Dai Guidotino le terre passarono ai Rovereti e, verso la metà del Settecento, agli Altenburger che, tra il 1760 e il 1780 provvidero ad ampliare la cappella trasformata nell' edificio tardo barocco che è quello attuale. Dietro l'altare, in una teca di cristallo esistono le reliquie del tutto improbabili di S. Giuseppe e di un frammento della Santa Croce (dove non arriva la realtà supplisce la «fede»). L'altare di legno sul fondo della cappella venne sostituito da uno di marmo e sulla parete del coro, in una cornice marmorea, venne posta la pala di S. Isidoro agricoltore. È in ginocchio sopra un sacco di grano: sullo sfondo due angeli guidano un aratro. Della chiesa e della pala ce ne parla l'architetto Antonello Adamoli nella pubblicazione «la Chiesa di S. Isidoro a Martignano» (comitato per le attività culturali e ricreative di Martignano, 1987). La pala del santo agricoltore adorante la Vergine e il Bambino è perfettamente in tono con la vita di una comunità contadina come è stata attraverso i secoli quella di Martignano. Adamoli ha studiato quest'opera danneggiata dal tempo e ha provveduto a farla restaurare dalla Provincia. È opera giovanile di un pittore veronese venticinquenne, Saverio Dalla Rosa (l'unica opera esistente di questo pittore nel Trentina). Nato a Verona nel 1743, suo zio materno era il noto Giambattista Cignaroli che ha lasciato opere in Trentina. In seguito Saverio si fece un buon nome mandando sue opere anche in Russia, a Pietroburgo. Nella chiesa di S. Isidoro esisteva anche una pregevole Via Crucis stampata a Roma alla fine del Settecento, opera di tre validi incisori: Giuseppe Perini Sforza, Ludovico Feliciani e Francesco Carattoni, quest'ultimo nato a Riva del Garda. Della Via Crucis l'Adamoli scrive: «Il risultato ottenuto è uno splendido contrasto di luce e di ombra attraverso una sapiente alternanza di zone a tratteggio fitto e incrociato, e spazi bianchi, risparmiati alla carta». Poco prima dello scoppio della Grande Guerra la frazione di Martignano acquistò la chiesa di S. Isidoro dagli eredi Altenburger per 3500 corone. Dopo la guerra, iniziando nel 1924, per opera di Don Giovanni Battista Zorzi la chiesa venne abbellita da un piccolo altare alla Madonna, da una cantoria, da un fonte battesimale e da una sagrestia. Poi dopo l'ultima guerra, nel 1949, realizzata la nuova parrocchiale, la Chiesa di S. Isidoro venne chiusa, servendo all'attiguo Asilo d'Infanzia. Ora è in attesa di restauro con il ritorno della pala restaurata e della via Crucis, per essere restituita all'uso della Comunità.
- Tratto dal libro Storie di Sobborghi di Renzo Francescotti edito nel 1993 da UCT Trento
Un altra cappella (m369) completa il paesaggio sacro di Martignano . Seguendo la strada piana del Forno, dalla chiesa di S.Isidoro verso il cimitero, si incontra un piccolo edificio. Era "la cappella pubblica" di Casa Angeli e fu edificata nel 1745. Il portale ad arco pieno sesto a lato dava accesso al brolo. Il campaniletto a vela accoglieva una campana. L'interno era decorato a fresco come suggerisce il lacerto policromo raffigurante un angelo. Cappella, il cui tetto è ricoperto in lastre di porfido, portale, muro, maso vicino vigilato da un cipresso, strada tra muri che scende al Maso che fu degli Alberti e prosegue per Piazzina, propongono uno scorcio già comune alla collina trentina.
La piazza della scuola è stata dedicata a Giuseppe Menghin "benefattore di Martignano, 1852-1925" La sua disposizione è esterna rispetto ai nuclei storici, Il suo disegno sembra conseguente all'allineamento stradale di vecchie residenze di villa, quali Villa Sardagna con parco, e casa ex Manci, in combinazione con l'aggregato posto sulla Formigheta e perfezionato nel secondo dopoguerra dall'edificio scolastico. La casa che a monte chiude il quadro, all'inizio delle Costiole, è esempio di dimora rustico signorile del passato: il portale di sud da accesso alla corte, il portale di nord agli avvolti, la scala esterna sale al piano abitativo, il grande poggiolo di pietra è poggiato su modiglioni. Il cason delle Costiole ne ripete la concezione.
Al crosarol termina Via don Leone Serafini, inizia via Bellavista che scende a Trento e vi giunge Via del Forte. Nello spazio verde a ridosso delle case, presso il Dos de la Rachele, già occupato da un ciuffo di noci, è stata collocata la composizione astratta del monumento dei caduti. Superata la stretta tra le case si apre la piazza di Martignano. Ai margini della piazza, Via Formigheta, crocicchio di vecchie strade, c'era una fontanella di pietra e l'edicola del Crocifisso adombrata da due Ippocastani. La rettifica stradale ha stravolto questo piccolo ambiente. La fontanella è stata distrutta, L'edicola spostata presso la Scuola Materna. Il crocifisso ligneo dell'edicola è un buon lavoro settecentesco. La cancellata che lo protegge è di ferro battuto. Sulle pareti interne è murata la lapide posta nell' "anno del fanciullo" del 1970. Un vasto slargo pavimentato in cubetti di porfido si estende tra la strada e la "Casa Sociale", recentemente restaurata. Questo slargo è diventato la Piazza di Martignano. Una nuova fontana in pietra è stata collocata ai margini, lo spazio è arredato da panchine ed è utilizzato per manifestazioni e feste paesane.
La cintura dei nuovi quartieri è realtà avulsa, estranea, al villaggio, anche se le due presenze vanno lentamente compenetrandosi quale composizione contemporanea di paesaggi urbani. L'area sulla quale si estende il vasto complesso a valle dei Bolleri fu nel 1978 motivo di un movimentato braccio di ferro tra i contadini proprietari del terreno e le cooperative edilizie forti di una legge provinciale. Il complesso è allineato su un terrazzo panoramico. E' un pò il simbolo della fase storica e sociale recente, di quando la città pareva rifiutare il suo naturale ruolo abitativo per rovesciarsi negli spazi fino allora con rigore riservati all'agricoltura.
In questi ultimi anni, arrestatasi l'espansione edilizia il sobborgo di Martignano giunto ad annoverare poco meno di quattromila abitanti, ha trovato un suo nuovo assetto, un nuovo equilibrio. La qualità della vita vi è molto alta. Perfino il clima, una volta inquinato dai fumi dei terreni paludosi di Gardolo, e poi da quelli delle fabbriche ora chiuse, è migliorato, è assai buono. Determinante è stato l'apporto delle associazioni come quelle nominate e poi di quelle sportive, sociali, culturali. Il Circolo tennis Calisio ha realizzato tre campi da tennis; il Gs Martignano un adiacente campo da calcio in località Pradiscola e ha attivato una squadra di pallavolo assieme ad elementi di Cognola. C'è la «Sportiva» animata da Renato Pegoretti. C'è il menzionato Circolo pensionati e anziani presieduto da Mario Battistata (che è anche presidente dell' Asilo parrocchiale, che si affianca a quello provinciale), un circolo molto attivo. Ci sono le sezioni dell' Aida, dell'Avis, dell'Ana. C'è il coro Monte Calisio, nato nel 1968, diretto da Renato Sassudelli; ci sono gli Amici della Montagna animati da uno dei fratelli Scarpari, Giovanni. Il più vecchio dei fratelli, Pierino (1923), è stato per oltre quarant'anni capocoro del coro parrocchiale, mentre il più giovane, Renato, classe 1930, è stato per undici anni consigliere comunale a Trento ed è presidente di quel Comitato per le attività culturali e ricreative, sorto nel 1972 che ha inventato, nell'88, la Disfida dei Canòpi ed è protagonista di tante concrete realizzazioni in campo sociale. Insomma, anche se a Martignano non c'è più posto per nuovi insediamenti, viverci non sarebbe male. Ma se passate di lì, l'ospitalità ai «forèsti» è per i «Martignani» un punto d'onore ...
- Tratto dal libro Storie di Sobborghi di Renzo Francescotti edito nel 1993 da UCT Trento
In questa sezione : attività e particolari
«Quando ancora imperversava la guerra, nel 1945, regista Domenico Redolfi, nacque in paese la Filodrammatica ... ». È Bruno Scarpari, classe 1928, uno dei quattro famosi fratelli a parlarcene. «Si recitava in un portico sopra due carri e spesso, durante le recite, suonava l'allarme e scappavano tutti. Recitavamo (c'era anche mio fratello Giovanni che è del '25) lavori in italiano come "Il delitto di via Bertagna" di Berton o "Ci penso io" di Repossi. Finita la guerra andammo a smontare una baracca della Flak vicino al Forte e la rimontammo nell'orto parrocchiale per farvi teatro. Riuscivamo a stivarci sino a 120 persone. Col regista Franco Valdagni passammo al repertorio di Guido Chiesa, commediografo roveretano scomparso, recitando sia in dialetto che in lingua lavori come "Gheto en canònega", "1 fradèi Tegni Mola" e "Danza della morte". Fino al 1968 quando io mi trasferii a Moena per fare il postino. Ritornai in paese per continuare lo stesso mestiere nel 1975: nel frattempo il parroco don Chemelli aveva sbaraccato la baracca assieme a tutte le attrezzature, le scene, i costumi. Con l'aiuto di Giovanni, mio fratello e di Franco Valdagni, sempre regista, ricominciammo da zero, ospiti del teatrino delle Missioni Africane. Fu allora che prendemmo il nome di Filodrammatica "Baracca", per ricordare la nostra "storica" baracca, e diventammo una compagnia amatoriale mista. Riprendemmo con grande successo"l fradèi Tegni Mola". Nel 1983 venne inaugurato il nuovo teatro sotto la casa parrocchiale appena edificata, che dà sulla piazza, in una sala di circa 200 posti. Mettemmo su la nuova commedia di Tullio Nicolussi "Per no misiar la raza" che presenta in scena le mitiche beghe tra "Martignani" e "Cognolòti": l'abbiamo rifatta per anni e chissà che noi vecchi filo dramma tici non la rimettiamo in scena di nuovo. Attualmente, negli ultimi anni, la "Baraca", presa in mano da giovani attori, recita un repertorio in italiano ... ».
- Tratto dal libro Storie di Sobborghi di Renzo Francescotti edito nel 1993 da UCT Trento
Il vecchio ed il nuovo si alternano sul piano e sulla costa. Al margine dei vigneti, al di sopra della rampa della "strada del vino", ci sono le due case affiancate del Mas. La fattoria e la residenza di villa. Furono dei Del Monte, dei Mersi, dei Menghin, dei Taxis. Oggi sono sede di un'azienda agricola e denominate Maso Martis. La cancellata in ferro battuto si apre sul giardino antistante il prospetto di mezzogiorno, quello nobile, dove c'è la cappella settecentesca.
Seguendo la strada per Montevaccino fino a località Pineta, dai m. 382 di Martignano, attraverso un antico sentiero ripristinato dalla SAT negli anni '70, si sale verso i boschi del Calisio. Si cammina per il sentiero che serpeggia come un rettile del Calisio (una vipera, un «carbonàz», ovvero un biacco, una «lanza», ovvero un Colubro d'Esculapio) attraverso i boschi di pino nero sino ad incontrare la strada della Flora e poco oltre il Rifugio «Monte Calisio» a 830 metri d'altitudine.
Nei pressi c'è l'incrocio delle «Quattro strade» e attraverso una mulattiera, passando accanto a «st6i» austriaci si arriva alla cima del Calisio, a quota 1096.
È un monte basso il Calisio, bruciato dal sole nel suo versante meridionale, un monte saccheggiato per secoli dei suoi boschi che non sono mai stati fitti. I «Canòpi» per le loro attività minerarie avevano un grande bisogno di legname e distrussero impietosamente i boschi di questo monte che sembra si chiami così proprio perché divenne «calvo». Le ultime distruzioni si fecero alla fine del secolo scorso quando l'Austria realizzò le Fortificazioni come quella del Forte Casara, sull'altopiano del monte, e di Martignano, oltre a casematte come appunto gli «stoi», tagliando le piante che ostacolavano la vista e il tiro delle bocche da fuoco. Ma l'Imperial regio Governo austroungarico ebbe però il merito, dopo secoli di incuria, alla fine del secolo scorso di avviare il rimboschimento che dura ormai da cento anni e ha rimesso gli alberi sulla montagna.
Era il 1970 e un gruppo di giovani appassionati di archeologia preistorica si era riunito in un «Gruppo tridentino di ricerca preistorica». Sotto la guida del prof. Bernardo Bagolini componevano il gruppo Gianni Bergamo-Decarli, Luciano Postal, Luciano Bertoldi e Giuliano Fiorito. Furono loro, assieme ad altri, a scoprire tra l'altro gli insediamenti preistorici di Vatte, presso Zambana Vecchia, e di Valbusa alla Vela; in altre parole i più clamorosi rinvenimenti preistorici del Trentino e fra i più notevoli delle Alpi che, studiati, ribaltarono indietro di migliaia d'anni gli insediamenti preistorici nel Trentino, rivelando che i nostri antenati abitavano nelle vicinanze di Trento qualcosa come 8.000 anni fa. Il Riparo Gaban è un grave incavo che si volge a mezzogiorno nel del Castelét che si innalza tra il Maso Pa gu Sud e il Maso Zendron a Nord, sotto Marti!!Il sulle balze sud-occidentali del Calisio, a circa metri d'altitudine.
Anche per Martignano, come per Cognola, vale il discorso dell'ambiente poco adatto all'erezione di ville paragonabili a quelle di Villazzano e di Povo. La collina del Calisio, pietrosa o argillosa, povera di sorgenti, perennemente battuta dal sole causa il suo orientamento a mezzogiorno, poco si prestava all' erezione di splendide ville.
Tuttavia alcune residenze estive, sia pure modeste, non mancarono. Risalendo da Muralta, sul terreno cretoso di Piazzina, i Cesarini vantavano vasti possedimenti che dal fondovalle risalivano sino al forte di Martignano: vi si coltivavano vigne e frumento e poi, dal Settecento, anche granoturco e gelsi. È rimasto Maso Cesarini, un robusto edificio con un accenno di torricella colombaia, secondo la moda cinquecentesca, e finestre bugnate che testimoniano il rifacimento un paio di secoli dopo. Proseguendo verso il paese, a monte dell'attuale strada della Valsugana si giunge al palazzotto cinquecentesco che abitato dai Cesarini e ora, ristrutturato è dei Coser.Si prosegue lungo la Via dei Castori: un nome singolare per un villaggio di collina dove, ovviamente, i castori non ci sono mai stati. Diciamo che non ci sono stati allo stato libero, ma in cattività i castorini ci sono stati. Li allevavano per ricavarne pellicce i Comboniani delle Missioni Africane, venuti da Verona nel 1926 per costruirvi la loro sede (dove negli anni Ottanta si è insediato il giornale l'Adige) nei pressi di Castel dei Merli, un edificio dai merli neoromantici già residenza estiva degli Osterreicher, che ha forse origini da una bastia medievale.
Ecco una foto veramente unica e curiosa nella quale alla piazza della scuola dedicata a Monsignor Giuseppe Menghin "benefattore di Martignano, 1852-1925" era stato attribuito il cognome Meneghin. Dopo una opportuna segnalazione di un nostro concittadino il comune ha provveduto alla sua sostituzione.
«Lavoravamo i quattro ettari e mezzo di campagna vendutaci dai baroni Altenburger - ricorda Augusto Rizzoli, mettendo in mostra, a 87 anni, un'incredibile memoria -. Qui a Martignano il problema della campagna era soprattutto la scarsità di acqua: "en paes endò che canta le zigàle e l'istà l'è tut ross ... " come dicevano del nostro villaggio quelli di fuori. Si crescevano i gelsi per allevare i bachi da seta: noi compravamo quattro once e mezza di "somenze" per bachi. Ogni oncia produceva 60-70 chili di bozzoli. C'erano molti ciliegi, peri, prugni; pochi meli. Si coltivava frumento, granoturco, patate, fagioli. L'uva era "negrara", "marzemina", "pavana", "nosiola", "schiava".
Pochi erano gli artigiani a Martignano: tra questi una famiglia di calzolai che ha fatto storia, tuttora attiva dopo quattro generazioni, quella dei Fronza.
Il capostipite, Vittorio, aveva imparato il mestiere dal «Naneto» (spesso il lavoro del «caliàr» era scelto da persone dal fisico gracile) che aveva la bottega con osteria nel ristrutturato edificio del Comune che si affaccia sulla piazza. Da suo padre ereditò il mestiere il figlio Modesto, nato nel 1905. Sia lui che suo padre andarono a lavorare dai Carmelitani delle Laste, dai Comboniani di Muralta, all'Opera Serafica di Cognola, insegnando il mestiere ai ragazzi dell'Opera.
Le calzature più richieste erano i «prussiani», scarponi da lavoro per i contadini e da montagna, fatte su misura, usando chiodi di legno (<<cavici») che più si bagnavano e più tenevano. Erano scarpe che, periodicamente risuolate e rattoppate duravano anche tre-quattro anni. Poi c'erano le «sgalmere» con le suole di legno, le scarpe da donna e da bambino. Ma non si facevano più di tre-quattro paia di scarpe nuove la settimana; il resto erano rattoppi, con gli scarti di cuoio che servivano per il riscaldamento. Un lavoro fatto tutto a mano, da Vittorio, poi dal figlio Modesto, poi dal nipote Marco, con la prima macchina da cucire introdotta nel 1963, mentre ormai erano apparse le rivoluzionarie suole di «vibram».
«El Capitel» è un minimensile che, a cura del Circolo pensionati e anziani di Martignano, esce dal 1990. Riporta tra l'altro una serie di preziose testimonianze. Come quella di Maria Salizzoni, nata nel 1895 in paese, prima di otto figli. È una testimonianza raccolta da Luisa Vian che racconta come, scoppiata la grande guerra, il padre fu chiamato al fronte e la famiglia venne sfollata in Moravia.
Durante il viaggio morì il fratellino più piccolo e i familiari lo tennero nascosto, morto, per poterlo seppellire dove sarebbero arrivati. La piccola Maria e la zia Beppina lavorarono in fabbrica. I Salizzoni tornarono a Martignano nel 1918. Come loro partirono per la Moravia i familiari di Valentino Scoz, che aveva appena un anno, quelli di Rachele Tomasi «Bologna», solo per fare alcuni nomi. Rimase in paese una minoranza: coloro che potevano dimostrare ad un'apposita commissione di avere da che vivere per almeno tre mesi. Quelli che rimasero lavoravano, uomini e donne, a costruire le fortificazioni sul Calisio.
La Cooperativa a Martignano era stata fondata nel 1925 per iniziativa di Rodolfo Valdagni, persona istruita quanto invisa al fascismo. La prima sede era nell' odierna Piazza Menghin. Uno dei primi gerenti fu una donna, Maria Salizzoni, una, ragazza in procinto di diplomarsi maestra. Apprendista fu quel Beppino Tomasi detto «Simonèl» che abbiamo citato quando poco dopo emigrò in America con la sua famiglia. Fu chiamato a sostituirlo Valentino Scoz, che aveva solo 14 anni. Era il settembre 1928. La «Mariota» Salizzoni era molto attiva e benvoluta dai soci della Cooperativa, ovvero praticamente da tutte le famiglie del paese. Nel 1933 Valentino dovette lasciare lo spaccio perché non poteva continuare a vivere con la paga inadeguata del commesso: scese a Trento a Port' Aquila, da Borzi, che gli diede una paga doppia. Poi andò in Etiopia a combattere per l'Italia che, conquistata quella povera terra, proclamò l'Impero. Ma nel 1937 era di ritorno a Martignano per prendere il posto della «Mariota» che gli lasciò la gestione della Cooperativa. Soldi anche lì in bottega se ne vedevano ben pochi: le donne venivano in negozio con due uova per avere in cambio un «peclìn», ossia un'aringa affumicata.
Il sobborgo cominciò ad espandersi con le nuove costruzioni delle Cooperative Acli dei «Castori» alla fine degli anni Cinquanta. Nel giro di un ventennio il sobborgo vide un'esplosione edilizia impressionante, avvenuta purtroppo in modo disordinato, compromettendo in parte l'ambiente. È del 1978 il caso legato alla proprietà Oberosler, un caso finito sulla stampa nazionale.
La campagna di Villa Sardagna, lavorata a cavallo della Grande guerra dai Dorigatti, era poi stata comprata da Umberto Bazzanella che nel secondo dopoguerra la vendette assieme ad un edificio rustico a Mario Oberosler. C'era fame di terra sulla collina est. S'era formata una cooperativa edilizia, la «Panté» che avrebbe dovuto costruire a Povo: ma fu dirottata a Martignano perché Povo era stato scelto per gli insediamenti del polo scientifico universitario. La scelta del Comune per l'esproprio cadde sul terreno Oberosler a Martignano, un terreno con qualche ritaglio coltivato, come mostrano le foto dell'epoca.
Nel 1850 il cav. Marsilio de Mersi, della famiglia che a Villazzano possedeva una splendida villa, entrato in possesso della proprietà Del Monte a Martignano, disponeva nel suo testamento un lascito affinché un sacerdote con la facoltà della confessione risiedesse nel villaggio celebrando la messa giornaliera, insegnandovi la dottrina cristiana nei giorni festivi e assistesse gli infermi e i moribondi.
Nel 1857, due anni dopo la morte del de Mersi, si imponeva al sacerdote beneficato l'obbligo di tenere l'insegnamento elementare, fruendo di 100 fiorini all' anno di interesse, mettendo a disposizione per la scuola un locale nella canonica. La scuola fu effettivamente istituita una ventina d'anni dopo, nel 1888, contando all'inizio 28 alunni di entrambi i sessi, tra i 9 e i 17 anni. Così, dal 1856, dopo un periodo come curatore d'anime (solo per pochi mesi) di don Francesco Genetti, arrivò don Leonardo Bertolazzi di Torbole che fu curato a Martignano per oltre mezzo secolo, sino al 1908, anno della sua morte.
a cura di Flavio Ferrari
Sono passati trent’anni da quel lontano 1972 quando don Cornelio Branz, all’epoca parroco del paese, chiamò Aurelio Rudari e Renato Scarpari per invitarli a fare qualcosa per organizzare la vita socio - culturale e ricreativa del sobborgo. E così nacque il “Comitato per le attività culturali e ricreative” chiamato in forma breve “Comitato”. Erano gli anni di sociologia, della “contestazione”, delle lotte operaie, di conflitti e incomprensioni, ma anche di grandi entusiasmi e idealità. Forse l’idea di don Cornelio era proprio quella di indirizzare questi entusiasmi e queste idealità verso fini sociali concreti ed in favore di una comunità che si andava trasformando rapidamente da piccolo borgo rurale a quartiere residenziale della città. Erano i tempi dei primi massicci insediamenti abitativi quando la città incominciò ad espandersi a macchia d’o-lio e l’abitare in collina era un fatto molto ricercato pro-prio per la bellezza del paesaggio e la qualità dell’ambiente. Diceva lo slogan di un’agenzia immobiliare: “venite ad abitare a Martignano; qui le foglie sono più verdi”.
Non si trattò però solo di una trasformazione profonda dell’ambiente naturale; c’era la necessità di integrare vecchi e nuovi residenti, di superare le divisioni nate con gli insediamenti dell’edilizia abitativa, di accogliere nuove famiglie, di rispondere a nuovi bisogni, in altre parole di creare una nuova comunità. In questo il Comitato è stato sempre in prima linea promuovendo manifestazioni, incontri, dibattiti, feste e realizzazioni concrete sia nel mondo della scuola che nella parrocchia. Va ricordato l’impegno per la costruzione dell’oratorio, il sostegno a tante associazioni locali, l’apertura ai giovani, il recupero delle tradizioni e della storia locale anche in chiave folcloristico - ricreativa, come nel caso della Disfi-da dei Canopi che oggi è conosciuta a livello internazionale. Sta di fatto che il Comitato in questi trent’anni è sempre stato punto di riferimento per tutte le numerose associazioni di volontariato che operano a Martignano; in prima fila quando si tratta di raccogliere fondi per qualche opera comunitaria o per i nostri missionari. Esso è stato il presidio organizzativo non solo per le “feste del paese”, ma anche una fucina d’idee e palestra di partecipazione. Tante persone hanno dato il proprio lavoro e la propria professionalità; sacrificato tempo e, a volte, denaro per la comunità. A tutti va il più sincero grazie da parte dei “martignani di buona volontà”. Alcune di loro non ci sono più: sono passate “a miglior vita” oppure si sono trasferite fuori paese, ma il Comitato ha sempre saputo trova-re nuove energie e nuovi apporti qualificati. Il raggiungimento di un traguardo così significativo, come quello dei trent’anni d’attività, impone una riflessione non solo sul passato, ma anche sul futuro della nostra associazione. C’è bisogno di nuovi apporti, d’idee e di lavoro, proprio per contrastare quella tentazione di isolarsi nel privato di fronte d un mondo sempre più complesso e difficile. C’è bisogno di rinsaldare i vincoli di una comunità che è cresciuta e si è trasformata, ma che ancora necessità di approfondire la propria identità e le ragioni del suo vivere insieme. Un brindisi augurale... Il Comitato quest’anno si è dotato di un nuovo Statuto, conforme alla legge del 7 dicembre del 2000 sulla “Disciplina delle associazioni di promozione sociale senza fini di lucro”. In questa legge, oggi recepita anche dagli Organismi regionali e provinciali, all’articolo uno sta scritto: “La Repubblica riconosce il valore sociale dell’associa-zionismo liberamente costituito e delle sue molteplici at-tività come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo; ne promuove lo sviluppo in tutte le sue articolazioni territoriali, nella salvaguardia della sua autonomia favorisce il suo apporto originale al conseguimento di finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca etica e culturale”. È proprio quello che il Comitato intende fare anche per il futuro per il bene delle associazioni e delle famiglie di Martignano
Comitato Attività Culturali e Ricreative di Martignano
IN UN'ANTICA LEGGENDA TRENTINA RIVIVONO REALTA' MODERNE DI UN POSSIBILE CONTATTO UFO IN UNA MINIERA D'ARGENTO - a cura di MATTEO SCALABRIN
Introduzione
Per un amante come me della montagna, (in particolare delle "mie montagne": le Dolomiti) e per uno studioso come me del fenomeno UFO, (in particolare della paleoastronautica: l'ufologia in passato) la leggenda del Monte Calisio, detta anche "del lago di S. Colomba", rappresenta il giusto connubio dove poter indagare. Data l'incerta origine della leggenda, può darsi che qualsiasi considerazione relativa al fenomeno UFO sia in realtà totalmente infondata, ma il mio scopo è presentarne ai lettori i punti in comune.
Storia
Il monte Calisio si trova appena a nord-est della città di Trento e rappresentava, già dal XII secolo, una grandissima fonte di reddito, grazie alla sua miniera d'argento, ora è meta di numerose spedizioni speleogiche. Nell'accordo del 24 marzo 1184, il vescovo Alberto riconobbe che il monte doveva esser considerato una proprietà comune tanto al ricco che al povero per le vene di galena argentifera. Nel caso in cui uno scopritore di giacimenti trovasse un luogo che si fosse rivelato particolarmente redditizio, avrebbe dovuto mettersi d'accordo col principe o col suo gastaldo. Da qualche secolo ormai le miniere del monte Calisio sono state completamente abbandonate. Il ricordo delle grandi ricchezze estratte dalla preziosa montagna, delle passioni e dei desideri di coloro che hanno lottato duramente per impossessarsene permane però ancora in questa leggenda.
La leggenda
Tanto tempo fa, il monte Calisio era tutto coperto da verdi pascoli. Ogni primavera, i pastori risalivano le sue pendici con i propri greggi, attirati dall'abbondante erba e dall'acqua che, in breve tempo, rendevano i loro animali grassi e forti. Fra i pastori vi era un ragazzino, proprietario dl uno zufolo che egli era solito suonare seguendo le sue dieci pecorelle. Un giorno, egli si trovava proprio ai piedi del monte Gallina, vide scendere dal cielo un globo luminoso. A quella vista il pastorello spalancò gli occhi e rimase attonito. Lentamente, il grande globo continuò a scendere, si avvicinò alla terra, sembrò toccarla e sprofondarsi in essa. Terrorizzato il ragazzo gettò un urlo e poi cominciò a correre a perdifiato verso casa sua. Come giunse in vista del paese, cominciò a gridare: "Padre, madre, aiuto, aiuto" ! A quelle grida, porte e finestre si spalancarono e tutti quelli che a quell'ora non erano nei campi si affacciarono chiedendosi l’un l’altro cosa fosse successo. Arrivarono anche i genitori del nostro pastorello che, temendo gli fosse accaduto qualcosa, gli corsero incontro tutti affannati: "Che ti è successo, figlio mio? Su racconta: forse che un orso ha assalito il tuo gregge? Oppure i briganti ti volevano uccidere?", gli chiese il padre. "No", rispose il ragazzo, "ho visto un globo". "Un globo ?", rispose perplessa la madre. "Certamente, un globo. E' sceso dal cielo ed è sprofondato nella terra", insisté eccitato il pastorello. A quelle parole il padre cominciò a rimboccarsi le maniche della camicia ed a gridare minaccioso: "Un globo eh, a chi vuoi darla ad intendere ? Invece di badare alle mie pecore ti sei addormentato ed ora vuoi farci diventare gli zimbelli di tutto il paese raccontando i tuoi stupidi sogni. Te lo do io il globo adesso !" E afferrata una verga che si trovava lì presso, l'alzò minaccioso sul figlio che si voltò precipitosamente cercando di salvarsi nei prati. I paesani si affollarono attorno ai suoi genitori, compassionandoli e tentando di consolarli: "Poveretti !" dicevano, "dopo tutto quello che avete fatto per quel figlio, dopo che gli avete insegnato a portar le bestie al pascolo, a zappare, a spaccar legna, ad essere sottomesso ed umile, ecco che lui si mette in testa di poter sognare a piacer suo. Non solo, ma pretende anche che gli altri sì interessino ai suoi sogni ! Poveretti voi, poveretti voi !" Intanto, il ragazzo era tornato in cima al monte, vicino alle sue pecorelle. Raccolse da terra, dove gli era caduto, l'amato zufolo e si guardò attorno sospettoso: non vide nulla di strano dei globi neppur una traccia. "Forse ha ragione mio padre, "disse fra sé e sé. "Il globo me lo sarò sognato." E, portato alle labbra lo zufolo, ricominciò a suonare. Il giorno seguente, verso mezzogiorno, il ragazzo vide ancora un globo luminoso staccarsi dal cielo, scendere lentamente verso di lui ed affondare nel terreno poco distante. Socchiuse gli occhi, li riaperse. Davanti a lui non vi era più nulla. "Sto proprio diventando un gran dormiglione", disse fra sé e sé. "Ha ragione mio padre: devo correggermi da questo brutto difetto" E se, in fin dei conti, il suo non fosse stato un sogno? Aspettò con impazienza il giorno seguente. Le ore gli sembravano eterne. Si stava avvicinando mezzogiorno ed il pastorello cominciò a darsi pizzicotti per esser certo di non sognare. Scrutò intensamente l'orizzonte. Ad un tratto, dalla volta celeste sembrò staccarsi un grande globo luminoso che lentamente scese verso di lui, finché si sprofondò poco lontano. Ben deciso a venir a capo di tanto mistero lì pastorello, vinto il proprio sgomento, corse là, dove era sparita l'immagine misteriosa. Quale non fu la sua sorpresa nel trovarsi sull'orlo dl una enorme buca. Incuriosito vi scese dentro cercando i resti del suo globo. Invece, scorse, seduto poco distante, uno strano, vecchissimo ometto. Era tutto vestito dl scuro e uno sbertucciato copricapo gli nascondeva parte del viso. "Finalmente ti sei deciso a venire", esclamò stizzosamente l'ometto. "Mi... mi avevate chiamato ?" domandò il ragazzo. "Chiamato ?", s'indignò l'essere misterioso cambiò espressione in volto. "Sono tre giorni che, a nome di tutti i nani metalliferi ti invio il nostro segnale, la palla dl fuoco, e tu osi domandarmi se ti ho chiamato !" "Veramente. . . ?!" chiese il ragazzo, "il vostro globo era tanto bello che ho creduto di averlo visto solo in sogno." "Bene, bene", borbottò il nanetto, "concludiamo questo spiacevole argomento. Invece, "e la sua vocetta si fece stridula per la rabbia, "perché non mi chiedi cosa noi vogliamo da te ?" "Già, proprio", sussurrò il pastorello che cominciava a spaventarsi sul serio, "che volete da me ?" Il nano metallifero lo squadrò dalla testa ai piedi, poi toccandosi la sua lunga barba, disse: "Stammi a sentire: a noi è giunta voce che tu sei un gran bravo ragazzo. Ed io non lo metto in dubbio. Un po' tontarello, forse, ma certamente bravo. Grazie alla tua virtù il mio popolo ha deciso dl farti partecipe delle grandi ricchezze che noi abbiamo accumulato in secoli di indefesso lavoro, nelle viscere della terra. Se tu scaverai in questa buca, troverai tanto argento da vivere per sempre nella ricchezza. Ti dirò di più. Tutti gli uomini che scaveranno in questo luogo diventeranno dei gran signori. Però ricordati: come noi nani, oggi, ci mostriamo generosi verso gli uomini, essi, a loro volta, dovranno esserlo, sempre, col loro prossimo. Il giorno in cui qualcuno di essi mancasse di carità verso un povero, noi verremmo a vendicare il tradimento ed a riprenderci il tesoro". Detto questo, il nano metallifero fece un inchino al pastorello e poi sparì nella terra smossa. Il ragazzo, senza perder tempo, corse a casa e narrò al suoi genitori ciò che gli è capitato. Padre e madre si guardarono in viso desolati, pensando che il loro ragazzo fosse definitivamente impazzito. Non avendo però il coraggio dl rimproverano in così grave contingenza, afferrati due badili, lo seguirono in cima al monte. Con grande sorpresa videro che la buca esisteva veramente. Ancora scettici cominciarono di malavoglia a scavare. La sorpresa fu enorme nell'accorgersi che, insieme alla terra vi erano dei pesanti pezzi d'argento. "Evviva !", gridò la madre, "Siamo ricchi !". "Sì", l'ammonì il ragazzo. "Non dimenticatevi, però, che per conservare questa ricchezza dobbiamo farne partecipi anche gli altri. Padre, madre e figlio, allora tornarono in paese e si fecero suonare le campane. "Cosa c'è, cosa c'è ?" gridavano tutti, accorrendo affannati. Quando tutti, ma proprio tutti i paesani furono in piazza, il padre del pastorello raccontò quel che era successo. Allora i paesani, munitisi di torce e badili salirono il monte, fino alla buca. Da quel momento per tanta povera gente ebbe inizio una nuova vita. Tutti si arricchirono permettendo però anche a quelli venuti da lontano, di godere del loro tesoro. Si succedettero agli anni felici, finché fu in vita, il pastorello, divenuto poi un uomo prudente ed un vecchio saggio, non si stancò mai di raccomandare a tutti di essere generosi. Un giorno, però egli morì e le nuove generazioni, un poco alla volta, dimenticarono i suoi ammonimenti diventando avare. Una sera capitò da quelle parti un viandante, stanco ed affamato. Bussò alla prima porta del paese. "Buona gente", supplicò ad una vecchia signora, "potreste darmi un tozzo di pane ? Sono molto affamato". "Se il pane fa comodo a te, fa comodo anche a noi", gli rispose con malagrazia la donna. "Se non sappiamo a chi darlo lo diamo ai nostri maiali." E gli chiuse la porta in faccia. Il viandante bussò ad un'altra porta: "Buona gente", disse all'uomo che aperse l'uscio, "non avreste da darmi ricovero per questa notte ? Sono molto stanco. Se mi addormento in un bosco temo di venir sbranato dagli orsi". L'uomo gli rispose. "A quel che sembra, voi potete servire proprio solo a sfamare gli orsi. "Addio", disse e gli sbatté la porta in faccia Il viandante bussò a tutte le porte del paese, ma nessuno gli diede né ospitalità né cibo. Giunse dinnanzi alla casa di una vedova, al limitare del bosco, (qui la leggenda non specifica se questa vedova è proprio quella del pastorello). Con sua grande sorpresa, la donna lo fece subito entrare, condivise con lui la sua cena e poi, accesa una candela, disse: "Venite, buon uomo. La stanza che posso offrirvi è poveramente arredata, ma pulita. Si sa, una vedova non può salire il monte a scavare l'argento quasi fosse un uomo, né attendersi aiuto da gente dura come i miei compaesani. Deve perciò cercar di vivere col poco che dà l'orto e il lavoro delle sue braccia". Il viandante la guardò poi, esclamò: "Non preoccupatevi buona donna. Per me la vostra camera e la cena che mi avete offerto sono degne di un principe, perché arricchite dalla vostra generosità. In compenso voglio darvi un consiglio; qualunque rumore udiate nel corso della notte, non affacciatevi alla finestra a guardare". Poi nadò via lasciando la donna stupita per quanto aveva udito. Lo sarebbe stata ancor di più se avesse potuto vedere quanto succedeva nella stanza del suo ospite inaspettato. Infatti, appena egli ebbe chiuso la porta, cominciò a rimpicciolire rapidamente. I suoi abiti divennero più scuri e sul capo gli comparve un cappello. Presto, presto il nano metallifero, lo stesso benefattore del pastorello, spalancò la finestra, scavalcò il davanzale, si lasciò cadere per terra, in istrada, e poi. . . via di corsa verso la cima del monte. Alle sue spalle si udì un gran tuono, poi la pioggia cominciò a scrosciare a dirotto, la terra tremò... una ad una delle case di quegli uomini avari crollarono seppellendo i loro abitanti. Si salvò solo la casetta della vedova generosa che, ricordando le parole dell'ospite, non scostò nessuna porta e finestra per vedere quel che era successo. Si azzardò ad uscire solo il giorno seguente. Al posto del vecchio paese si stendeva un limpido, tranquillo lago. A guardarvi dentro si poteva scorgere sul fondo il campanile della chiesa sommersa.
Considerazioni
Questa leggenda presenta alcuni aspetti interessanti che possono avere un certo riscontro con la casistica ufologica. Per cominciare, la prima domanda da porsi è perché il "globo luminoso" ? In molte altre leggende compaiono delle stelle che si muovono, delle luci volanti, delle streghe volanti, degli arcobaleni, delle apparizioni mariane, ma raramente si trovano i globi luminosi, (o meglio, è molto raro che ciò che viene tramandato sia un "globo luminoso"). Ed è proprio questa una prima singolarità. Il "globo luminoso" rientra spessisimo nella casistica UFO, abbiamo testimonianze, foto e filmati di vere e proprie "sfere volanti" simil-metalliche e/o luminose. Basti pensare alla palla che ruotava attorno alla fusoliera del Concorde in uno dei suoi primi voli sperimentali nel giugno 1976, le sfere viste in occasione dei ben noti "crop circles", gli UFO cosidetti a forma di Saturno, le sfere nel cielo della stampa del 1561 a Norimberga e quella di Basilea del 1566, e così potrei andare avanti a lungo. Il fatto che sia stato luminoso non è utile a determinare se brillava di luce propria o a causa di riflessi metallici. Altro punto da tener presente è "il nano metallifero", perchè metallifero ? Forse uno scafo o tuta spaziale ? Anche il messaggio del nano, rappresentante nella cultura delle leggende come l'antica maledizione dell'oro o meglio della ricchezza che corrompe tutti quelli che in un modo o nell'altro ne entrano in possesso, può farte di un contesto di messaggi rivelati dai contattisti come George Adamski sul bene dell'umanità e sul destino dell'umanità, qui vista in un contesto molto più localizzato. Il rapporto fra entità aliene e le ricchezze del suolo quali oro e argento è già stato ampiamente discusso dall'orientalista Sitchin nel suo libro "Il dodicesimo pianeta". In un contesto leggendario, l'archetipo di questa storia denota un certo apparente distacco fra le comuni "favole" della fantasia montana, distacco che potrebbe rivelare qualcosa di reale, non necessariamente nel luogo ove è ambientata, ma anche solamente in chi l'ha raccontata. Comunque, il monte Calisio rappresenta una vera e propria miniera di "tesori" per la speleologia moderna.
In questa sezione : da ricordare ..
Protagonista del risveglio sociale di Martignano
- Figlio di Angelo e di Clementina Caldera
• Nato a Madice di Bleggio Superiore 05.08.1903
• Laurea in giurisprudenza all' Università Cattolica del Sacro Cuore, dove il rettore Padre Gemelli avrebbe voluto trattenerlo come collaboratore.
• Sottotenente di complemento d'artiglieria
• Ordinato a Trento il 29.06.1927
• Cooperatore a Tione 1927-1929
• Cooperatore a Malè 1929
• Cooperatore a Fondo 1930-1931
• Vicario parrocchiale a Lardaro 1931
• Cooperatore a Riva del Garda 1931-1932
• Parroco a Roncone 1932-1937
• Cooperatore di Cognola per Martignano 1937-1940
• Dal maggio 1937 residente in Martignano n. 14
• Vicario parrocchiale a Martignano 1940-1941
• Parroco a Martignano 1941-1954
• In pensione 1954
• Morto il 30.10.1955
Don Leone Serafini arrivò a Martignano nel 1937 dalla parrocchia di Roncone, dove era stato destinato nel 1932 con il compito di riordinare le entrate e l'urbario (inventario di beni e diritti) del beneficio parrocchiale, minacciati nella loro integrità da approfittatori. Un servizio non facile, anzi, un incarico scomodo che nessuno voleva assumersi e che procurò a don Leone una serie di accuse da parte del movimento fascista locale. Il 23 settembre 1936, venne trasferito a Trento a svolgere le mansioni di segretario dell'ufficio amministrativo presso la diocesi. Nel giugno 1937 fu nominato anche cooperatore del parroco di Cognola per la frazione di Martignano e, nel gennaio dell'anno successivo, don Serafini prestò il giuramento che lo abilitava alle funzioni di ufficiale di Curia e di giudice in seno al tribunale diocesano, incarichi che mantenne anche negli anni successivi. In questa veste, nel luglio 1939, venne nominato dal vescovo Endrici ispettore amministrativo diocesano, incaricato della vigilanza sulla gestione del patrimonio ecclesiastico da parte dei parroci e del controllo dei registri parrocchiali, a norma del diritto canonico. Nel frattempo, il 17 aprile 1938, Martignano era diventata parrocchia, anche se solo nel luglio 1941 il "cappellano" ricevette la nomina a parroco. A motivo della nomina ufficiale, nel novembre dello stesso anno, il nuovo vescovo Carlo De Ferrari ravvisò incompatibilità tra ufficio di parroco e quello di ispettore amministrativo diocesano, che faceva di don Serafini il controllore di se stesso. La decisione mise in difficoltà il parroco, che a stretto giro di posta fece presente che, nel caso fosse stato privato dello stipendio di officiale di Curia, le entrate del beneficio parrocchiale di Martignano non sarebbero bastate per il suo sostentamento, essendo il beneficio stesso gravato di un debito di Lire 25.000, da ammortizzare in dodici anni. Di conseguenza propose di risolvere il problema di incompatibilità abbandonando la parrocchia e tenendo il solo ufficio di Curia. Al riguardo però chiese che venissero meglio precisate le sue mansioni e i suoi doveri, come pure gli venissero indicati con precisione i suoi superiori in ufficio. A quel punto il vescovo ritirò la sua obiezione. Il 4 aprile 1942, in vista della visita pastorale, il vescovo De Ferrari nominò don Serafini convisitatore "in materia finanziario-economica e per i libri parrochiali", cioè addetto all'ispezione dei registri dell'anagrafe spirituale e di quelli dei conti, e, nell'agosto 1945, venne chiamato nel Consiglio amministrativo diocesano. Due mesi dopo gli venne affidata l'amministrazione della "Casa pia Battiti" e dell'annessa azienda agricola, anche qui con il compito dichiarato di riordinare la gestione. Tutto ciò avveniva a motivo del fatto che "in materia ha fatto buona sperienza con cospicui risultati". Per questi suoi incarichi piuttosto delicati, oltre al temperamento e alla determinazione che lo caratterizzavano venne soprannominato "il carro armato". Negli anni trascorsi a Martignano don Serafini si contraddistinse per l'impegno a favore del paese e per la promozione di un vero e proprio risveglio delle attvità sociali della cominità. Fu lui a realizzare la costruzione della nuova chiesa parrocchiale, a promuovere il riconoscimento civile della stessa parrocchia di Martignano, a coinvolgere i capi famiglia nel progetto per l'edificazione di una scuola materna e ad interessarsi perché fossero ampliate le scuole elementari. Tuttavia, a causa di problemi di salute, nel giugno 1954 chiese l'esenero della "cura d'anime e la collocazione in pensione per problemi cardiaci". In seguito a verifiche mediche da parte del medico provinciale, su richiesta dell'allora vicario generale Mons. Bortolini, la Curia vescovile accettò la domanda e, con il1 ottobre 1954 don Serafini cessò dalle funzioni di parroco di Martignano trasferendo, l'ultimo del mese, la sua residenza in città. Ad appena un anno di distanza, domenica 23 ottobre 1955, don Leone, tornando in auto da un funerale in val Rendena, venne colto da malore e perse il controllo del mezzo. Ricoverato all'ospedale di Tione, nei giorni seguenti sembrò migliorare, ma si aggravò inaspettatamente e si spense domenica 30 ottobre 1955. Nell'omelia del suo funerale Mons. Bortolameotti parlò della "coraggiosa tenacia nel portare a termine due imprese come la costruzione ex novo della Chiesa e dell'asilo di Martignano", che definì "frutto entrambi di ignorati personali sacrifici" e della fede che "lo confortava nell'opera pastorale e nella difesa dei diritti della Chiesa in tante zone della diocesi".
Tratto dal libro Scuola Materna "Don Leone Serafini"
1953-2003 50 anni al servizio della comunità
Nato a Calavino il 19.08.1916
Ordinato a Trento il 09.03.1940
• Cooperatore a Povo 1940
• Cooperatore ad Ala 1942
• Curato a Piazze di Pinè 1945
• Parroco a Rallo 1966-1972
• Parroco a Martignano 1954-1972
• Parroco a Massone (Arco) 1972-1988
• Canonica alla collegiata di Arco 1988-
• Morto ad Arco il 14 novembre 1998
Scriveva Vita Trentina il 22 novembre 1998 nel rievocare la sua figura: "Don Tarcisio Chemelli viene ricordato ancora con affetto da quelli che erano stati i suoi seminaristi a Martignano. A dispetto del suo volto austero e poco incline al sorriso, lo ricordano come un prete amabile, che sapeva incoraggiare i seminaristi che numerosi in quegli anni venivano a frequentare le scuole medie al Seminario Minore in città. Don Tarcisio li incoraggiava a darsi da fare in parrocchia per i ragazzi e per la vita pastorale e li teneva vicini dando esempio di zelo esemplare ed esigente. Egli stesso dedicava attenzione ai numerosi chierichetti con la speranza di coltivare tra essi nuove vocazioni al sacerdozio. Negli ultimi anni, come canonico della collegiata di Arco, si prestava volentieri per le confessioni e svolgeva il servizio di animazione spirituale presso la Casa di riposo. Aveva forse l'impronta di un sacerdote all'antica, ma questo è un elogio se si considera il suo impegno nella preghiera e la cura nell'educazione morale della sua gente: non per niente ne curava con particolare attenzione la Dottrina cristiana, convinto che solo un cristiano istruito è un cristiano convinto".
Tratto dal libro Scuola Materna "Don Leone Serafini"
1953-2003 50 anni al servizio della comunità
Nato a Sanzeno il 17.06.1933
Ordinato a Trento il 22.03.1958
• Vicario parrocchiale a Trento/Cristo Re 1958-1962
• Vicario parrocchiale a Trento/S. Giuseppe 1962-1964
• Segretario in Curia 1964-1966
• Parroco a Rallo 1966-1972
• Parroco a Martignano 1972-1977
• Parroco a Martignano 1972-1977
• Parroco e decano a Cles 1977-2000; 1993-2000 anche a Cis
• Parroco a Fondo e Tret 2000-
Con Don Cornelio Martignano ha vissuto l'inizio di una trasformazione legata ai nuovi insediamenti residenziali nel sobborgo. Grazie alla sua determinazione e capacità di dialogo la comunità ha continuato a camminare unita, anche in momenti difficili caratterizzati da eventi mutamenti ideologico-politici. Particolarmente attento alle riforme liturgiche, si occupò dell'adeguamento della chiesa alle nuove norme e della ristrutturazione della canonica. Fù inoltre uno dei fondatori del Comitato Attività Culturali e Ricreative di Martignano.
Negli undici anni che don Cosma ha trascorso a Martignano la comunità ha vissuto un periodo di continua crescita. E' stato sacerdote che, con disponibilità e attenzione, ha saputo promuovere lo spirito di collaborazione tra le persone, convogliando risorse ed energie nella realizzazione della Casa parrocchiale, nell'animazione di catechisti e animatori di campeggio, continuando l'esperienza del suo predecessore. Nel nuovo Oratorio ha saputo creare le condizioni affinchè tutti i gruppi potessero trovare un luogo d'incontro per le proprie attivtà e si sentissero coinvolti nella vita della Parrocchia.
Tra il 1977 e il 1981 è stato Presidente della Scuola dell' Infanzia ed è stato il promotore della creazione dell' Associazione Amici Scuola dell' Infanzia "don Leone Serafini"
Tratto dal libro Scuola Materna "Don Leone Serafini"
1953-2003 50 anni al servizio della comunità
Don Cornelio Branz
Don Cosma Tomasini
Nato a Rovereto il 14.05.1940
- Ordinato a Trento il 29.06.1966
• Vicario parrocchiale a Trento/S. Giuseppe 1966-1969
• Vicario parrocchiale a Pinzolo 1969-1971
• Vicedirettore di Teologia al Seminario Maggiore di Trento 1971-1977
• Parroco a Martignano 1977-1989
• Parroco e decano a Mori 1989-
Negli undici anni che don Cosma ha trascorso a Martignano la comunità ha vissuto un periodo di continua crescita. E' stato sacerdote che, con disponibilità e attenzione, ha saputo promuovere lo spirito di collaborazione tra le persone, convogliando risorse ed energie nella realizzazione della Casa parrocchiale, nell'animazione di catechisti e animatori di campeggio, continuando l'esperienza del suo predecessore. Nel nuovo Oratorio ha saputo creare le condizioni affinchè tutti i gruppi potessero trovare un luogo d'incontro per le proprie attivtà e si sentissero coinvolti nella vita della Parrocchia.
Tra il 1977 e il 1981 è stato Presidente della Scuola dell' Infanzia ed è stato il promotore della creazione dell' Associazione Amici Scuola dell' Infanzia "don Leone Serafini"
Tratto dal libro Scuola Materna "Don Leone Serafini"
1953-2003 50 anni al servizio della comunità
Nato a Forlì il 24.06.1940
Dopo aver vissuto per molti anni a Egna, si trasferì a Trento nel 1963 e quindi a Martignano nel 1979.
Lavorò come spedizioniere presso alcune case di spedizioni della città concludendo la propria carriera professionale in qualità di dirigente d'azienda presso la societè Errek di Trento.
Da subito impegnato nelle attività di volontariato del sobborgo, entrò a far parte del Consiglio Direttivo dell'allora Gruppo Sportivo, rimanendovi ininterrottamente per oltre tredici anni e nel Direttivo del locale gruppo A.N.A., divenendone capogruppo dal 1996. Anche consigliere della Famiglia Cooperativa di Martignano, fa parte dell'Associazione Ecomuseo Argentario onlus. Dal dicembre 1997 è Presidente dell'Associazione Amici Scuola dell' Infanzia "Don Leone Serafini".
Tratto dal libro Scuola Materna "Don Leone Serafini"
1953-2003 50 anni al servizio della comunità
Nato a Trento il 25.08.1928
Iniziò giovanissimo a lavorare presso l' Ufficio Tecnico Erariale per poi approdare al quotidiano L'Adige dove, ricoprendo vari incarichi, ha lavorato fino al 1981.
Si trasferì a Martignano nel maggio del 1980.
Da sempre impegnato nel volontariato, si è subito inserito nella comunità, divenendo ben presto una delle figure carismatiche del paese.
Il 6 gennaio 1982 venne nominato Presidente della neo-nata "Associazione Amici Scuola dell' Infanzia don Leone Serafini". Oltre alla presidenza della Scuola Materna ha operato anche in altre attività di volontariato del paese; Presidente del Gruppo Anziani per 13 anni, membro del Consiglio Pastorale per 10 anni, per alcuni anni membro del Comitato Attività Culturali e Ricreative di Martignano e, non ultimo, ideatore della Disfida dei Canopi. Dal 1950 al 1972 è stato dirigente provinciale e nella commissione nazionale delle ACLI.
E' sato poi Segretario Provinciale del Movimento cristiano lavoratori.
La presidenza di Mario Battistata è continuata ininterrottamente dal 1982 fino al 1997. L'inizio non è stato facile. Dopo un periodo di ambientamento ha però cominciato a lasciare la sua impronta con una conduzione saggia e oculata, apportando nel contempo continue migliorie. Nel 1998, lascita la Scuola dell' Infanzia, ha promosso la creazione dell' Associazione di volontariato onlus "Telefono d'argento". E' stato anche fondatore del mensile "El Capitel" di cui è diventato direttore responsabile.
Tratto dal libro Scuola Materna "Don Leone Serafini"
1953-2003 50 anni al servizio della comunità